Competenze dell’amministratore.

Competenze dell’amministratore.

L’amministratore condominiale viene considerato un mandatario (rappresentante) della collettività condominiale e come tale egli è soggetto, tra l’altro, alle disposizioni di cui agli artt. 1703 e seguenti del Codice civile: vale a dire che:

  • egli è obbligato a compiere atti/attività per conto del condominio, non solo quelli/e per i quali l’incarico è stato conferito, ma anche tutti quelli che sono necessari (preparatori e strumentali) al loro compimento (art. 1703-1708 c.c.);
  • è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 e 1176 c.c.);
  • egli non può eccedere i limiti fissati nel mandato: vale a dire che egli deve esattamente attenersi a quanto stabilito nel deliberato condominiale, ovvero, a seconda dei casi, di quanto previsto nel regolamento condominiale, nonché alle prescrizioni dell’art. 1130 c.c.. Se l’atto compiuto dall’amministratore eccede i poteri conferitigli dalla legge, dall’assemblea dei condomini o dal regolamento, e l’assemblea non provvede a ratificarlo, l’amministratore risponde personalmente e patrimonialmente degli effetti dell’atto che esorbita dai suoi poteri, con l’obbligo di tenere indenne il condominio da qualsiasi pregiudizio che possa derivare dalla stipulazione e dalla esecuzione di quell’atto;
  • a lui sono applicabili i principi sulla responsabilità contrattuale del mandatario, che derivano dall’articolo 1218 del codice civile: in primis, la presunzione di colpa che grava sull’amministratore, ove non sia dimostrata l’impossibilità dell’adempimento della prestazione per causa a lui non imputabile. Secondo quest’ultima norma, infatti, il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile;

Diligenza e correttezza

La responsabilità dell’amministratore sussiste tutte le volte in cui la mancata soddisfazione degli interessi della collettività condominiale, rispetto alle obbligazioni scaturenti dal rapporto di mandato, dipenda dal fatto che egli ha tenuto un comportamento diverso da quello che avrebbe dovuto e potuto tenere nella concreta situazione, ha dunque omesso di comportarsi con diligenza per rendere possibile l’adempimento regolare della prestazione. Si dice infatti che l’amministratore debba eseguire il mandato con la “diligenza del buon padre di famiglia” (art. 1710 cod. civ.), che significa dovere di oculatezza, accortezza e precisione nella gestione del condominio per la tutela degli interessi dei partecipanti al condominio stesso.

Attualmente la diligenza richiesta all’amministratore, quale criterio generale per valutare la condotta dell’obbligato nell’adempiere o nel non adempiere le obbligazioni da lui assunte, è venuta nel tempo ad assumere sempre più i connotati di alta professionalità, sicché essa va ormai valutata alla stregua di una responsabilità professionale. Dunque nella sua attività non dovranno verificarsi omissioni di obblighi che la legge o il regolamento impone, né dovrà agire senza diligenza, scrupolo e accortezza.

La violazione di tale dovere di diligenza comporta inadempimento contrattuale (e, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso), del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per colpa lieve (salvo il caso in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi di problemi tecnici di particolare difficoltà, ipotesi in cui il prestatore non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave- art. 2236 c.c.).

Nella diligenza richiesta rientra pure l’osservanza delle norme giuridiche e vi si ricomprende, in ogni caso, anche l’imprudenza e l’imperizia, intesa come inabilità o inettitudine – rilevante nelle obbligazioni di fare che rende difficile o impossibile l’adempimento.

Ciò opportunamente premesso, passiamo ora a considerare le competenze dell’amministratore, vale a dire i compiti e le attribuzioni che per legge deve adempiere nell’espletare il proprio mandato. Il codice civile (art. 1130 cod. civ.) prevede espressamente quali sono le attribuzioni dell’amministratore nell’ambito del mandato conferitogli e che egli deve espletare.

Esse sono:

A) eseguire le deliberazioni dell’assemblea= nel condominio il mandato ad operare viene conferito all’amministratore attraverso le delibere assembleari. Quindi, nell’assolvimento del suo incarico l’amministratore dovrà attenersi a quanto esse prescrivono. Se invece l’amministratore eccede dai poteri conferitigli dall’assemblea dei condomini, risponderà personalmente e patrimonialmente degli effetti dell’atto che esorbita dai suoi poteri, con l’obbligo di tenere indenne il condominio da qualsiasi pregiudizio che possa derivare dalla stipulazione e dalla esecuzione di quell’atto. Tuttavia, nulla vieta che l’assemblea, con le maggioranze di legge, approvi anche a posteriori l’operato dell’amministratore, che abbia commissionato lavori o eseguito spese senza una preventiva deliberazione: è il caso, ad esempio, di lavori commissionati dall’amministratore senza una preventiva deliberazione, o con una deliberazione non valida, o più in generale di spese per le quali non vi era alcun apposito consenso della stessa assemblea; oppure di semplici lavori urgenti o di altri atti di gestione per i quali non vi era la possibilità di convocare l’assemblea. Qualora, in simili casi, i condomini riuniti in assemblea deliberino con le maggioranze di legge (art. 1136 cod. civ.) approvando non solo il comportamento dell’amministratore, ma in particolare i consuntivi e/o i preventivi con i relativi riparti spese, nei quali sono stati dallo stesso indicati i lavori e le spese non preventivamente approvati, la eventuale responsabilità dell’amministratore è sanata e superata dall’approvazione stessa.

Con tale decisione l’assemblea infatti fa propri il contenuto e i criteri che sono stati a base della condotta dell’amministratore, e conseguentemente sia gli atti che l’attività del medesimo sono sanati e sono eventualmente da imputarsi esclusivamente al condominio.

B) curare l’osservanza del regolamento di condominio= si tratta di un dovere dell’amministratore che si spinge fino alla possibilità di intraprendere tutte quelle azioni giudiziarie utili a tal fine. In un pronuncia del 2006 la Cassazione ha evidenziato come “l’amministratore non necessita di alcuna previa delibera assembleare, posto che egli è già tenuto ex lege (art. 1130 c.c., comma 1, n. 1: ex plurimis, cfr. Cass. 14088/1999; Cass. 9378/1997) a curare l’osservanza del regolamento del condominio al fine di tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all’abitabilità dell’edificio”. Non solo, “è altresì nelle sue facoltà, ai sensi dell’art. 70 disp. att. c.p.c., anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili di siffatte violazioni del regolamento (Cass. 8804/1993), ove lo stesso regolamento preveda tale possibilità.”(così Cass. 14735 del 2006).

C) disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;

D) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni;

E) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio= tutelare la proprietà comune da azioni dannose;

Esempi:

– Azione giudiziaria nei confronti di un condomino che abbia violato il regolamento di condominio o faccia un uso improprio delle parti comuni;
– Intervento per immissioni di fumi nocivi o rumori derivati da impianti del condominio;
– Ricorso possessorio per abusi da parte di terzi;
– Rimozione di stati di pericolo;
– Diffida a condomini per violazione del decoro architettonico;
– Verifica dei lavori di un singolo se derivano danni alle parti comuni;
– Proposta all’assemblea di adeguamento della polizza RC globale fabbricati se il valore assicurato è considerevolmente inferiore al valore reale del fabbricato.

F) Alla fine di ciascun anno deve rendere il conto della sua gestione;

G) Informare l’assemblea dei condomini della notifica di atti o provvedimenti dell’autorità giudiziaria che esorbitano dalle sue funzioni: in mancanza potrà essere revocato con ricorso al Tribunale e risarcire i danni al condominio (art. 1131 c.c.);

H) Convocazione almeno dell’assemblea annuale (art. 1135 c.c.);

Occorre poi non dimenticare il dovere di custodia delle parti comuni: il concetto di manutenzione ordinaria, e straordinaria in presenza di urgenza, che spetta all’amministratore non può infatti prescindere dal dovere di compiere tutte quelle attività necessarie in modo da preservare l’utilità delle parti comuni ed evitare che esse arrechino danni ai condomini o a terzi.

In tal senso si è espressa la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (il caso di specie riguardava una buca creatasi nel cortile antistante il condominio): “In tema di condominio, la figura dell’amministratore nell’ordinamento non si esaurisce nell’aspetto contrattuale delle prerogative dell’ufficio. A tale figura il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni condominiali provochi danno di terzi. In relazione a tali beni l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d’essere, si trova nella posizione di custode, pertanto deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini od a terzi (CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 16 ottobre 2008, n.25251).

Infine, all’amministratore incombe anche la gestione dei servizi comuni, che coinvolge anche il dovere di vigilanza.

In tale incombenza dell’amministratore rientra certamente la vigilanza sulla regolarità dei servizi comuni, pure per quanto attiene alle interferenze con i singoli appartamenti, e altresì il dovere di eseguire verifiche ed impartire disposizioni intese a mantenere integra la parità di godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini (art. 1130 c.c., n. 2).

Rispetto a queste ipotesi, l’unica prova liberatoria sarà quella di dimostrare il c.d. fatto fortuito o forza maggiore, nonostante l’aver ottemperato a quei doveri.

Le controversie condominiali: impugnativa e dissenso alle liti.
L’impugnazione delle delibere condominiali

Ogni deliberazione assembleare deve avere determinati requisiti affinché la si possa considerare valida, i seguenti aspetti concorrono a formare una delibera assembleare valida.

  1.  l’avviso di convocazione, che deve contenere la data dell’adunanza, l’orario, il luogo e l’indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno 5 giorni prima della data di svolgimento dell’assemblea, salvo diverso termine indicato nel regolamento di condominio;
  2. il verbale deve essere compilato facendo in modo che tutto lo svolgimento dell’assise sia comprensibile e sia possibile verificare la correttezza dei quorum costitutivi e deliberativi.
  3. ogni deliberazione relativa ai singoli punto all’ordine del giorno, per essere valida, deve riportare un numero di voti uguale o superiore a quello previsto dalla legge;
  4. devono essere rispettati i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dal regolamento.

L’art. 1137, primo comma, c.c. dice che “le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini”. È una norma importante in quanto vincola tutti condomini, compresi assenti e dissenzienti, al rispetto di quanto deciso dalla maggioranza.

Proprio per questa particolare incisività del deliberato assembleare è giusto porsi alcune domande. Che cosa accade se prima o durante lo svolgimento dell’assemblea non vengono rispettate le regole previste dalla legge o dal regolamento di condominio? In poche parole come si possono contestare le irregolarità di una delibera?

L’art. 1137, secondo e terzo comma, c.c. recita: “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità stessa.

Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti”.

Si tratta della disciplina dell’impugnazione delle deliberazioni assembleari.

La norma appena citata rappresenta l’unica disposizione legislativa che si occupa dell’invalidità delle decisioni assembleari. L’articolo in esame non contiene alcuna specificazione del tipo di invalidità che può colpire le delibere dell’assemblea, ma parla semplicemente di deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio e ne richiede l ’impugnazione tempestiva (entro 30 giorni).

Dottrina e giurisprudenza, nel corso del tempo, hanno ritenuto applicabile all’invalidità delle delibere i concetti di nullità e annullabilità concernenti gli atti giuridici in generale.

Sulla base di tale richiamo operato dalla giurisprudenza, possiamo dire che una delibera nulla è impugnabile in ogni tempo, da chiunque ne abbia interesse e non è suscettibile di produrre effetti giuridici. In poche parole è come se non fosse mai esistita.

Una deliberazione annullabile deve essere impugnata nei tempi previsti dal terzo comma dell’art. 1137 c.c. In mancanza di impugnativa, ovvero se la delibera viene impugnata oltre il termine di 30 gg., la delibera diventa definitivamente efficace e valida, dunque obbligatoria per tutti i condomini.

Per i dissenzienti i 30 gg. decorrono dallo svolgimento dell’assemblea, per gli assenti dalla comunicazione del verbale.

La disputa, che si è sviluppata in conseguenza di questa classificazione, ha riguardato l’individuazione concreta di quei vizi comportanti nullità o annullabilità. Il codice civile nulla dice al riguardo.

La questione, oggetto di un acceso contrasto giurisprudenziale, è stata risolta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nel 2005. Con la sentenza n. 4806, infatti, si è affermato che sono da “qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto”. Di contro, sono da “qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea,  quelle  adottate   con   maggioranza   inferiore   a   quella   prescritta   dalla   legge   o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità’ nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto” (così Cass. SS.UU. n. 4806 del 2005).

In sostanza, si è impostata la questione limitando i casi di nullità delle delibere a ipotesi ben circoscritte, ampliando il concetto di annullabilità a tutte quelle ipotesi di “routine” nell’ambito della gestione condominiale.

Proprio perché nullità e annullabilità, con riferimento alle deliberazioni condominiali, sono concetti di creazione giurisprudenziale che, di conseguenza, devono essere valutati volta per volta dal giudice, diventa importante per l’amministratore di condominio usare molta accortezza nella valutazione della regolarità della delibera, così da non coinvolgere i condomini in operazioni dispendiose e oggetto di censure, soprattutto nei casi in cui i condomini dovranno decidere importanti interventi di notevole entità economica.

Ad esempio: in un’assemblea condominiale si decidono lavori straordinari di notevole entità, quasi tutti i condomini iniziano a versare le rate e si dà corso all’esecuzione dei lavori. Giunti a metà dei lavori uno dei condomini morosi, sollecitato a mettersi in regola con i pagamenti, impugna la delibera relativa ai lavori perché a suo dire nulla. È chiaro che una successiva delibera può sanare il vizio, tuttavia non sempre è semplice ricomporre determinate maggioranze.

A titolo esemplificativo, ma non certo esaustivo, possiamo indicare come cause di annullabilità:

la mancata convocazione di un condomino all’assemblea; tuttavia, il condomino che, comunque non avvisato, si presenta ugualmente all’assemblea, sana la mancata convocazione e, quindi, non può impugnarla per annullabilità.

A tale proposito è importante ricordare che l’amministratore ha il dovere di informare dell’assemblea tuttii condomini, ossia tutti coloro che alla data dell’adunanza hanno diritto di partecipare e di esprimere il loro parere sulle questioni indicate nell’ordine del giorno (e cioè i proprietari delle unità immobiliari, e in alcuni casi l’usufruttuario).

Nel caso di unità immobiliari possedute in regime di comunione, ossia laddove non sussista una proprietà esclusiva in capo ad unico soggetto, l’amministratore dovrà effettuare la notifica a tutti i comproprietari;

  • l’incompletezza dell’ordine del giorno: la delibera condominiale che contenga decisioni su questioni non menzionate all’ordine del giorno è annullabile in quanto affetta da vizi attinenti prescrizioni relative all’informazione dell’assemblea;
  • la mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente;
  •  la mancanza di quorum costitutivo o deliberativo;
  • la partecipazione all’assemblea di un condomino munito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento condominiale;
  • la fissazione di criteri di riparto delle spese diversi e derogatori rispetto a quelli legali;
  • la violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare la documentazione attinente ad argomenti posti all’ordine del giorno dell’assemblea condominiale: il rifiuto dell’amministratore di consentire al condomino di visionare o estrarre copia ad esempio della documentazione contabile comporta invalidità della delibera riguardante l’approvazione del bilancio, poiché la lesione del diritto all’informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari (Cass. 19.05.2008, n. 12650; Cass. 24.01.2004, n. 1544);
  • E annullabile entro 30 gg. la delibera il cui verbale dà atto del risultato della senza l’indicazione analitica dei condomini che hanno votato a favore, a meno che contenga l’elenco di tutti i condomini presenti personalmente o per delega con i relativi millesimi e nel contempo contenga l’indicazione dei nominativi dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro con le quote millesimali degli uni e degli altri: infatti, la specificazione di tali dati consente di stabilire con sicurezza, per differenza, (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole e il valore da essi rappresentato nonché di verificare che la deliberazione abbia in effetti superato il quorum richiesto dall’articolo 1136 del Codice civile (Cass. 10.08.2009, n. 18192). Di recente si segnalano le pronunce di merito che confermano tale indirizzo: Tribunale di Monza, Sezione 1, Sentenza 4 aprile 2011, n. 954; Corte d’Appello Firenze, Sezione 1 Civile, Sentenza 15 settembre 2010, n. 1290; Tribunale di Genova, Sezione 3 Civile, Sentenza 23 giugno 2010, n. 2557.

Sono invece considerate nulle quelle delibere che:

  • sono fuori dai poteri dell’assemblea;
  • sono contrarie a norme imperative di legge, o comunque a norme costituzionali.

Le prime potrebbero essere ricondotte a due tipi:

  1. delibere che prevedono il voto favorevole dell’unanimità dei condomini, previsto o dal codice civile o da norme contrattuali del regolamento condominiale approvato da tutti (in genere al momento dell’acquisto dell’appartamento).
  2. delibere che non riguardano la proprietà o le parti comuni e la loro regolamentazione, ma sconfinano nei diritti del singolo proprietario.

È necessario a questo punto comprendere come si debba impugnare una deliberazione assembleare.

Qual è l’atto introduttivo del giudizio?

Come per le questioni attinenti alla nullità ed all’annullabilità, anche per l’azione giudiziaria sono sorti dei dubbi.

Per quanto riguarda la forma dell’atto di impugnazione, l’art. 1137 c.c. utilizza l’espressione “ricorso all’autorità giudiziaria”. Il dato testuale impiegato dal legislatore ha formato oggetto di una dibattuta questione relativa all’esatta interpretazione del termine “ricorso”. Si è infatti discusso se a tale espressione occorra attribuire il significato tecnico di una particolare forma di introduzione del giudizio di impugnazione o, più semplicemente, la stessa si riferisca alla possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

La giurisprudenza, investita in più occasioni della questione prospettata, è pervenuta a conclusioni spesso divergenti e contraddittorie. Dopo il susseguirsi di pronunce oscillanti tra opposte posizioni, sono intervenute le Sezioni Unite del Supremo Collegio, le quali, componendo il contrasto insorto all’interno della Seconda Sezione, hanno affermato che le impugnazioni delle delibere dell’assemblea condominiale, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 163 c.p.c., vanno proposte con citazione, non disciplinando l’art. 1137  c.c. la forma di tali impugnazioni. In altri termini, secondo il giudice  di legittimità, considerato che la norma in esame si limita a consentire ai dissenzienti ed agli assenti di agire in giudizio, per contestare la conformità alla legge o al regolamento di condominio delle decisioni adottate dall’assemblea, senza disporre nulla in ordine alle relative modalità, queste vanno individuate alla stregua della generale previsione dell’art. 163 c.p.c., secondo cui “la domanda si propone mediante citazione” (Cassazione, sez. Unite Civili, 14 aprile 2011, n. 8491).

Il termine dei 30 gg. nel caso della impugnativa proposta con atto di citazione si ritiene rispettato se  l ’at to  di  cit azi o ne  g i ung e  al  co nd o mi ni o  me di ant e  no t i fi ca  d a  p art e  d el l ’uffi ci al e gi ud i zi ario  e nt ro  i l  30°  giorno dalla delibera per i dissenzienti, ovvero entro il 30° giorno dalla comunicazione del verbale per gli assenti.

Dissenso dei condomini rispetto alle liti

Art. 1132 – Qualora l’assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.

Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.

Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.

I presupposti del dissenso

L’art. 1132 c.c. presuppone:

  1. che la lite riguardi le parti comuni dell’edificio;
  2. che la proposizione della controversia in sede civile sia stata deliberata dall’assemblea.
Spese non esentate

L’estraniazione non esclude le spese propedeutiche o non inerenti, cioè spese che non possono essere propriamente considerate oneri defensionali per lo svolgimento delle difese in giudizio, ma propedeutiche ad esso.

Modalità del dissenso

La “estraniazione” del condomino riguardo alla deliberata proposizione della lite, per produrre i suoi effetti, deve essere esplicitata in apposito atto, il quale non è implicito e neppure equipollente al voto contrario alla delibera espresso l’assemblea.

Non costruisce invece elemento di validità della dichiarazione di esternazione del condominio che essa sia motivata, né, tantomeno, che il dissenso alla lite sia fondato.

Estensione del dissenso per analogia

Alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza è ragionevole affiancare, analogicamente, anche il caso in cui la lite deliberata e promossa non sia pervenuta ad esito positivo per fatto imputabile al condominio (si pensi al caso di estinzione del giudizio per inattività della parte etc.) che l’aveva decisa.

Dunque, affinché un Condòmino possa far valere il proprio diritto al dissenso alla lite è necessario che la materia sia di competenza dell’Assemblea e quindi che ci sia stata una specifica delibera di promuovere una lite o di resistere ad una domanda.

A tal proposito occorre richiamare il disposto dell’art. 1135 c.c., il quale contiene un elenco di attribuzioni dell’assemblea (conferma amministratore, approvazione preventivo spese e relativa ripartizione, opere manutenzione straordinaria, ecc.), le quali tuttavia – secondo giurisprudenza – rivestono un carattere puramente esemplificativo e non esaustivo.

Viceversa, nel caso in cui l’oggetto della lite faccia parte delle normali attribuzioni dell’amministratore ex art.1130 c.c. (esecuzione delle delibere dell’assemblea, disciplina dell’uso delle cose comuni, riscossione dei contributi, redazione rendiconto della gestione dallo stesso operata alla fine di ciascun anno, ecc.), il dissenso del Condòmino può essere espresso solo per via diversa con ricorso all’assemblea contro i provvedimenti presi dall’amministratore. In questi casi solo dopo l’assunzione di una delibera condominiale sul punto, istaurante un contenzioso, il Condòmino potrebbe avvalersi della facoltà prevista dall’art.1132 c.c.

La separazione di responsabilità può essere proposta soltanto da chi in assemblea ha espresso voto contrario o da chi era assente, mentre non può essere proposta da chi era presente in assemblea ed ha votato a favore della lite giudiziale.

Termini per l’estraneazione.

La volontà di estraniazione deve essere manifestata entro 30 giorni che decorrono, a pena di decadenza :

– per il Condòmino dissenziente presente all’assemblea, dalla data in cui si è tenuta l’assemblea stessa;

– per il Condòmino assente, dalla data di ricezione del verbale dell’assemblea da parte dell’amministratore.

Notifica dell’estraneazione.

Nel termine dei 30 giorni come sopra indicati, l’interessato dovrà provvedere a “notificare” adeguatamente il dissenso all’amministratore.

Non vi è concordanza circa la forma del dissenso, ritenendosi da alcuni sufficiente la comunicazione scritta effettuata a mezzo lettera raccomandata, mentre altri ritengono indispensabile la notifica a mezzo ufficiale giudiziario.

La forma più sicura è quella della notifica a mezzo di Ufficiale Giudiziario ex art.137 c.p.c. al fine di evitare spiacevoli sorprese in sede di ripartizione dei costi.

Se la causa si concluderà favorevolmente il condominio dovrebbe recuperare dalla controparte le spese sostenute.

Trib. civ. Bologna, sez. III, 12 ottobre 2007, n. 2618 In tema di dissenso alle liti, l’operatività dell’art. 1132 c.c. non va oltre l’esonero del condomino dissenziente dall’onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell’ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio; la norma lascia, tuttavia, immutato l’onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa.

Cass. civ., sez. II, 2 marzo 1998, n. 2259: il condomino dissenziente non parteciperà solo a quelle spese che il condominio in caso di esito sfavorevole della lite dovrà versare alla controparte, mentre è obbligato in solido al pagamento delle spese che il condominio si trova ad affrontare per proprio conto (avvocato di parte e varie consulenze tecniche, e tutto quanto serva per arrivare a giudizio). Mentre nel caso che il condominio vinca la vertenza, se il condomino dissenziente ne trae un vantaggio è obbligato al pagamento delle spese che non si sono potute ripetere (tutte quelle spese che non è possibile richiedere alla parte avversa o che il giudice non ha liquidato).

Il recupero dei contributi condominiali.

Recita il primo comma dell’art. 63 disp. att. c.c.:” Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”.

La norma citata completa e rende attuale il disposto dell’art. 1130, primo comma n. 3, c.c. che impone

all’amministratore di “riscuotere i contributi […] per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni”.

Il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo è uno strumento particolarmente incisivo, previsto per offrire una tutela specifica, in considerazione del fatto che il pagamento ritardato delle quote condominiali incide sulla regolare conservazione della parte comuni, nonché sull’ erogazione dei servizi comuni.

Soggetto legittimato ad agire è l’amministratore di condominio. Si tratta di uno di quei casi, contemplati

dall’art. 1131, primo comma, c.c., in cui l’amministratore potrà agire in giudizio senza il preventivo assenso dell’assemblea.

È importante sottolineare, ad ulteriore dimostrazione della particolare attenzione data dal legislatore al recupero del credito condominiale, che si tratta di una norma imperativa. In sostanza, il regolamento di condominio (sia esso assembleare o contrattuale) non potrà derogare a quanto previsto dall’art. 63, primo comma, disp. att. c.c. (si veda art. 72 disp. att. c.c.).

Per iniziare il procedimento monitorio è necessario che l’assemblea abbia approvato un piano di ripartizione e naturalmente lo stato di morosità del condomino. È indifferente che la ripartizione sia relativa al preventivo o al bilancio consuntivo. In entrambi i casi, tale documento, insieme allo stato di riparto approvato dall’assemblea consente di riconoscere in capo al condominio un credito certo (in quanto approvato dall’assemblea), liquido (perché determinato nel suo ammontare) ed esigibile (poiché lo stato di morosità fa maturare le quote dovute).

Prima di iniziare un’azione giudiziale sarà opportuno farla precedere dalla messa in mora ex. art. 1219 c.c.

La legge non richiede espressamente che l’ingiunzione di pagamento ex art. 63 disp. att. c.c. sia preceduta da un’intimazione stragiudiziale di pagamento. Tuttavia ciò è consigliabile, in quanto è possibile che il condomino provveda a pagare il debito condominiale in seguito alla lettera del legale che gli intima il pagamento degli oneri insoluti (con ciò riducendo enormemente i costi di recupero, limitati nel caso alla lettera di intervento del legale del condominio).

Contro chi dovrà essere rivolta la domanda di pagamento?

Certamente non potrà essere considerato condomino l’inquilino. Questo soggetto, infatti, per quanto sia obbligato dalla legge, in assenza di patto contrario, a pagare determinate spese condominiali (si veda art. 5 l. n. 392/1978) non potrà essere legittimato passivo nel procedimento monitorio.

L’unico e solo legittimato passivo è il proprietario dell’appartamento che risulterà in ritardo con i pagamenti.

Non si potrà agire nemmeno contro chi appare il condomino (c.d. condomino apparente) – Cassazione, sez. II, 12 gennaio 2011, n. 574: “In caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il

recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale, poiché difettano, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività’ del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d’altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale”.

Già le Sezioni Unite avevano affermato che “in caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale” (così Cass. SS.UU. n. 5035/02). Il Supremo Collegio, è utile sottolinearlo, ha tenuto ben distinte le ipotesi di recupero crediti giudiziale da quello stragiudiziale. In sostanza in quest’ultimo caso si è detto, viste le esigenze di celerità, praticità e funzionalità, addotte a giustificazione dell’applicazione dell’istituto dell’apparenza del diritto, valgono per l’ipotesi non contenziosa del rapporto, quando, cioè, l’apparente condomino non solleva alcuna contestazione provvedendo al pagamento degli oneri condominiali (Cass. SS.UU. n. 5035/02).

Se il tentativo stragiudiziale non dovesse sortire effetto, per iniziare l’azione giudiziale l’amministratore dovrebbe, comunque, accertarsi (tramite visura presso i pubblici registri immobiliari) dell’effettiva proprietà dell’immobile.

Ciò perché alla luce della pubblicità dei trasferimenti immobiliari sarà sempre possibile, anzi doveroso, prima di inoltrare un ricorso rintracciare nei pubblici registri il proprietario dell’appartamento.

Stesso discorso in caso di vendita dell’appartamento. L’art. 63, secondo comma, disp. att., c.c. prevede che “Chi subentra nei diritti di un condominio e obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”. Pertanto, qualora il venditore abbia degli arretrati, e non venga pattuito diversamente con l’acquirente, l’amministratore del condominio potrà chiedere l’adempimento tanto all’ uno quanto all’altro (c.d. responsabilità solidale). In particolare, nei confronti dell’acquirente, a mente dell’articolo citato, potrà pretendere le somme imputabili sia all’anno relativo alla vendita sia a quello precedente. Questo principio, oramai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, è stato recentemente ribadito dagli stessi Giudici di legittimità, secondo i quali “lo status di condomino spetta all’acquirente e consegue che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che soltanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l’art. 63 comma 1” (così Cass. n. 23345 del 2008).

Più di recente la Cassazione con la sentenza n. 24654 del 3.12.2010, stabilisce il principio di diritto che: “In caso di vendita di un’unità immobiliare in condominio , nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione o di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza di (diverso, n.d.r.) accordo tra le parti, nei rapporti interni tra alienante ed acquirente è tenuto a sopportarne i relativi costi chi era proprietario al momento della delibera dell’assemblea, sicché, ove tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ.”.

Per vero, la stessa Corte, aveva, in precedenza, dato risposte differenti e divergenti.

Un precedente orientamento sosteneva che “l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva, non dalla preventiva approvazione della spesa, ma dalla concreta attuazione dell’attività di manutenzione, e sorge quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta, senza che rilevi la data della delibera di approvazione dell’opera, avente una funzione meramente autorizzativa del compimento di una determinata attività di gestione da parte dell’amministratore (Cass., Sez. 2^, 7 luglio 1988, n. 4467; Cass., Sez. 2^, 17 maggio 1997, n. 4393; Cass., Sez. 2^, 26 gennaio 2000, n. 857; Cass., Sez. 2^, 9 settembre 2008, n. 23345, in motivazione). Pertanto, nel caso di vendita di un appartamento sito in un edificio soggetto al regime del condominio, obbligato al pagamento delle spese è il proprietario nel momento in cui vengono eseguiti i lavori (Cass., Sez. 2^, 18 aprile 2003, n. 6323).

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