Un ascensore “presidenziale” al centro di una vicenda, esaminata dalla Cassazione nell’ordinanza 10850 del 2020 , che, nei fatti, può essere mutuata anche in situazioni che vedono protagonisti comuni cittadini.
I fatti
A causa dei disagi legati alle sue condizioni di salute, un esponente delle istituzioni italiane fece installare, a sue spese, un ascensore nell’immobile che ospitava la propria abitazione, concedendo l’uso dell’impianto, a titolo di cortesia, anche agli altri condòmini.
Dopo anni, la condòmina Università rimuoveva l’ascensore sul presupposto che fosse di sua proprietà esclusiva e non compresa tra i beni di condominialità, determinando il ricorso in primo grado di una società, condòmina anch’essa, la quale, utilizzando costantemente l’impianto, asseriva che l’Università non avesse prodotto alcun titolo d’acquisto che confermasse l’uso esclusivo dell’ascensore.
Le pronunce di merito e il ricorso in Cassazione
La Corte d’appello di Cagliari, ribaltando la decisione del Tribunale, condannava l’Università al ripristino dello stato originario dell’immobile, con conseguente reinstallazione dell’impianto. Contro la sentenza, l’Università proponeva ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo che evidenziava come
mancasse una dichiarazione espressa, da parte degli altri condòmini, di partecipare alla innovazione. L’azione proposta dalla Società attrice era qualificata come domanda di risarcimento in forma specifica volta a chiedere la reintegrazione dell’ascensore rimosso.
La decisione
Per gli ermellini, le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata circa la
ripartizione dell’onere probatorio sono risultate errate, sia quanto al funzionamento
della «presunzione di condominialità», sia quanto alle conseguenze tratte dalla
mancata dimostrazione di un «asserito diritto di proprietà esclusiva» ad opera della
convenuta. La decisione della Corte d’appello affermava la condominialità per l’articolo 1117
Codice civile, ed alla prova conseguita dell’utilizzo dell’ascensore al servizio della unità
immobiliare in proprietà della società attrice, risolvendo la questione senza tener conto
che l’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio
costituisce innovazione, che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le
maggioranze prescritte dall’articolo 1136 Codice civile, oppure direttamente realizzata
con il consenso di tutti i condòmini, così divenendo l’impianto di proprietà comune.
L’ascensore come innovazione
Trattandosi di un impianto suscettibile di utilizzazione separata, essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di più condòmini , salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.
A differenza di quanto supposto nella sentenza impugnata della Corte d’appello, l’ascensore non rientrava nella proprietà comune di tutti i condòmini, ma apparteneva a coloro che lo avevano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari
dell’ascensore, che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condòmini non abbiano deciso di parteciparvi.
La partecipazione a posteriori
L’articolo 1121, comma 3, Codice civile fa, infatti, salva agli altri condòmini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale.
Inoltre, la presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’articolo 1117 , si basa sulla loro destinazione all’uso ed al godimento comune che deve sussistere sin dal momento della nascita del condominio. In tal senso, dimostrato che l’ascensore era stato realizzato per iniziativa ed a spese solo di uno o di alcuni condomini dopo la costituzione del condominio, ha
trovato applicazione il regime presupposto dall’articolo 1121 Codice civile, senza alcun rilievo giuridicamente determinante alla circostanza che il bene sia stato utilizzato anche a servizio delle unità immobiliari di proprietà di quei condòmini che non avevano inizialmente inteso trarre vantaggio dall’innovazione.
La Suprema corte ha, perciò, accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, anche per la regolarizzazione delle spese di giudizio.
Fonti Anaci
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