Quando si parla di eliminazione delle barriere architettoniche, il rispetto dei limiti previsti dall’articolo 1102 del Codice civile va parametrato al principio di solidarietà condominiale considerato che la legge che regola la materia persegue fini di carattere pubblicistico tesi a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici. Lo afferma la Corte di appello di Roma con sentenza numero
1360 del 2 febbraio 2021.
La vicenda
Muove la controversia, la proprietaria di un appartamento impugnando la delibera che autorizzava l’installazione dell’impianto di ascensore. Delibera di cui il Tribunale dichiara la nullità condannando il condominio al risarcimento dei danni derivanti dal diminuito valore dell’abitazione. L’ente formula appello e la Corte lo accoglie sancendo la regolarità dell’operato assembleare. Il primo giudice, spiega, si era basato sul mancato raggiungimento delle dovute maggioranze ancorandosi ad argomenti che – oltre a non esser stati prospettati, incorrendo così in un vizio di ultra petizione – cozzavano col principio per cui dal vizio, sempre che sia accertato, non derivava la nullità ma l’annullamento della delibera, peraltro impugnata oltre i termini stabiliti.
L’ascensore è una innovazione
Ad ogni modo, prosegue, le maggioranze erano state ampiamente rispettate tenuto conto che l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione –rientrando fra le opere di cui all’articolo 27, comma 1, legge 118/1971 e articolo 1, comma 1, Dpr 384/1978 – da approvarsi con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136, commi 2 e 3, del Codice civile. La delibera, poi, non superava i “paletti” dell’articolo 1120, ultimo comma, del Codice civile. La consulenza tecnica, infatti, aveva escluso pregiudizi sulla statica del fabbricato o pericoli nonostante la ridotta larghezza delle scale.
I limiti posti all’installazione
Ciò marcato, la Corte richiama l’orientamento prevalente: in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la legge 13/1989 è espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici. Va, quindi, verificato soltanto il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 del Codice civile, da intendersi alla luce del
principio di solidarietà condominiale (Cassazione 7938/2017) . Ebbene, nella fattispecie, non potevano ravvisarsi violazioni non avendo la proprietaria né partecipato alle spese d’installazione (la sua unità, al piano rialzato, non fruiva del servizio ascensore) né subito delle menomazioni nel godimento del bene comune (Cassazione 31462/2018).
L’ascensore come innovazione
Trattandosi di un impianto suscettibile di utilizzazione separata, essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di più condòmini , salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.
A differenza di quanto supposto nella sentenza impugnata della Corte d’appello, l’ascensore non rientrava nella proprietà comune di tutti i condòmini, ma apparteneva a coloro che lo avevano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari
dell’ascensore, che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condòmini non abbiano deciso di parteciparvi.
Il vantaggio anche solo di attenuazione dei disagi
Infine, circa l’osservazione del Tribunale – ossia che l’ascensore non avrebbe eliminato le barriere architettoniche attesa la presenza di alcuni gradini di accesso allo stabile – andava precisato che, intanto esisteva il passaggio dal garage, e che l’eliminazione delle barriere riguarda un diritto fondamentale della persona conferendo legittimità all’innovazione se idonea – se non ad eliminare del tutto – almeno ad
attenuare sensibilmente i disagi (Cassazione 6129/2017) . La delibera era dunque valida. Quanto al deprezzamento, a prescindere da aspetti tecnici sulla novità della domanda, la richiesta andava bocciata non avendo l’immobile della signora subito alcuna svalutazione. Anzi, la modifica aumentava del 30% il valore delle unità.
Inevitabile, quindi, l’accoglimento dell’appello proposto dal condominio.
Fonti Anaci
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