Usucapibile anche la sola cantina pertinenza dell’appartamento di proprietà altrui


Nei condomìni l’acquisto per usucapione non è infrequente. Si realizza come noto per il solo fatto del possesso continuato per 20 anni, senza bisogno dell’intervento del giudice né dell’accordo tra le parti. Rappresenta una sorta di riconoscimento ottenuto da chi, per anni e anni lavora quale proprietario di un bene di fronte all’inerzia e al disinteresse del proprietario originario. Se il bene è accompagnato da pertinenze (quali ad esempio una cantina per un appartamento), è pacifico che l’usucapione si estenda anche ad essi.

Cosa accade invece se l’usucapione risulti essere relativa al solo bene accessorio? Va valutato il tipo di possesso ma va precisato che risulta perfettamente confermata la possibilità di diversa circolazione del bene principale e della pertinenza. Non si deve dimenticare infatti che il vincolo pertinenziale descritto dall’articolo 817 Codice civile attiene a due enti appartenenti allo stesso proprietario, che abbia posto e conservato la cosa secondaria al servizio di quella principale.

La pertinenzialità
Si tratta di legame volontario, istituito dall’unico proprietario delle due porzioni, talché da sempre la giurisprudenza insegna che la relazione pertinenziale fra due cose determina automaticamente l’estensione alla pertinenza degli effetti degli atti o rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale, salvo che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente all’atto concernente la cosa principale, ovvero da questo risulti espressamente la volontà del proprietario di escludere la pertinenza come oggetto dello stesso (Cassazione 1620/1964; Cassazione 711/1968; Cassazione 5790/1983).

Nel caso del terzo che abbia posseduto per oltre venti anni la sola cantina, non può dubitarsi perciò che dall’inizio del possesso sul solo bene accessorio è venuto meno anche il legame funzionale con il bene principale e l’usucapione risulti realizzata in relazione alla sola cantina.

Il caso della cantina chiusa e ingombra
Per completezza si passa all’esame anche della situazione più ambigua e per nulla infrequente, che vede il titolare disinteressarsi tanto dell’appartamento quanto della cantina. In questo contesto può accadere che mentre un terzo approfittava del disinteresse del proprietario per occuparne l’appartamento e per istituire la situazione poi sfociata dell’acquisto del bene principale in forza di usucapione, la cantina sia rimasta chiusa e magari ancora ingombra delle masserizie del vecchio titolare, la cui posizione è poi divenuta recessiva rispetto a quella di chi abbia maturato l’usucapione dell’appartamento.

Tale quesito interessa sia il giurista che l’operatore concreto e in passato ha determinato divisioni di orientamento anche nell’ambito della migliore dottrina. La questione giuridica ha poi trovato soluzione soddisfacente. Per esporla risulta indispensabile ricondursi alla stessa definizione di pertinenza, che l’articolo 817 Codice civile ha volutamente formulare con amplissima prospettazione, volta a ricomprendere nella nozione situazioni anche notevolmente disomogenee tra loro.

Pertinenza solo tra cose diverse
Il rapporto pertinenziale presuppone che si tratti di cose diverse, perché solo tra cose diverse può esservi quel rapporto di subordinazione che conferisce all’una le caratteristiche di cosa principale e all’altra cosa i connotati del bene accessorio. In virtù di tale principio è stata esclusa la possibilità di considerare la cucina, i servizi igienici e la soffitta (asservita all’appartamento sottostante) come pertinenze di questo, ai sensi dell’articolo 817, dato che i relativi vani non sono parti distinte ma parti essenziali al completamento dell’immobile per le necessità cui esso è destinato, concorrendo, in posizione di reciproca parità, anziché nella posizione di dipendenza che, come si è detto, caratterizza la pertinenza, all’unitaria funzione di questo ed alla utilità che esso è in grado per sua natura e destinazione di produrre. (Cassazione 2016/1998 e 189/96).

La pertinenza deve quindi essere distinta rispetto al bene principale, ma deve poter servire in via permanente al migliore godimento di quest’ultimo. In passato i migliori giuristi, sopra tutto i romanisti, si sono dedicati a queste disamine, tentando di distinguere le componenti essenziali del bene principale dalle cose accessorie ed entrambe le categorie citate dalle pertinenze vere e proprie.

Il progresso nella diffusione degli insegnamenti giurisprudenziali e l’ottima penna del dottor Antonio Scarpa consentono ora di evitare di ripetere distinzioni eccessivamente ambiziose e che fatalmente naufragano sugli scogli di commiste realtà.

Ci si limiterà quindi ad osservare la differenza tra la soffitta separata dall’appartamento sottostante da un sottile assito di legno, rispetto alla cantina che il costruttore-venditore ha assegnato ad uno degli appartamenti terranei esistenti in uno stabile di otto piani.

Nel primo caso il titolo varrebbe a rafforzare un legame funzionale che deriva dalle cose; nel secondo caso la cantina è posta al servizio di un appartamento unicamente in forza della, volontà espressa nell’atto di acquisto ormai certificata e resa conoscibile erga omnes in virtù delle intestazioni catastali.
La pronuncia che puntualizza il principio.

Si perviene all’esame della sentenza 12866 del 22 aprile 2022, presidente Mario Bertuzzi, estensore Antonio Scarpa che riguarda il caso di un cortile condominiale: «La questione, contenuta nel terzo motivo di ricorso, secondo cui tra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva sussiste il nesso di condominialità di cui all’articolo 1117 Codice civile, non risulta affrontata nella sentenza impugnata, né si specifica che essa fosse stata oggetto di allegazione e discussione nelle pregresse fasi di merito, e non può essere devoluta ed accertata per la prima volta nel giudizio di legittimità.

Viceversa, poiché la Corte d’appello ha dato per apprezzata nel merito la sussistenza di un nesso pertinenziale tra il cortile comune in contesa e la porzione di proprietà esclusiva (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 817 Codice civile (in quanto, è da intendere, il cortile era stato destinato a servizio del fabbricato per effetto della volontà del proprietario di entrambe le cose), la sentenza impugnata è incorsa in falsa applicazione dell’articolo 818 Codice civile per non aver considerato che la comproprietà del cortile dovesse ritenersi ceduta in comproprietà pro quota, a termini appunto di tale norma, in conseguenza della vendita dell’edificio, proprio qualora nel titolo non si fosse diversamente disposto o fosse stato omesso qualunque riferimento.

In base al combinato disposto degli articoli 817 e 818 Codice civile, infatti, la relazione pertinenziale fra due cose determina automaticamente l’estensione alla pertinenza degli effetti degli atti o rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale, salvo che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente all’atto concernente la cosa principale, ovvero da questo risulti espressamente la volontà del proprietario di escludere la pertinenza come oggetto dello stesso (Cassazione 1620/1964; Cassazione 6873/1994; Cassazione 1471/2022)».

La disciplina degli accessori pertinenziali
Il principio da enunciare, in sostanza, è che gli accessori pertinenziali di un bene immobile devono ritenersi compresi nel suo trasferimento, anche nel caso di mancata indicazione nell’atto di compravendita, essendo necessaria un’espressa volontà contraria per escluderli (Cassazione 634/2003).

Nè, ad escludere la cessione pro quota della comproprietà del cortile di pertinenza, in correlazione alla vendita dell’edificio principale, può rilevare, in senso chiaro ed univoco, il riconoscimento operato dai contraenti di un diritto di servitù di passaggio sul medesimo bene comune in favore dell’acquirente, potendo tale servitù trovare comunque giustificazione nell’intenzione di assicurare un vantaggio per la proprietà esclusiva dell’acquirente, eccedente i limiti del diritto di comproprietà ex articolo 1102 Codice civile, posto a carico della comunione residua.

Conclusioni
Ritorna quindi la concezione per la quale la relazione pertinenziale determina automaticamente l’estensione alla pertinenza degli effetti degli atti o rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale salvo che risulti espressamente la volontà del proprietario di far cessare il legame.

Né l’una né l’altra ipotesi sussistono quando il proprietario si sia disinteressato sia dell’appartamento che della cantina e quest’ultima sia rimasta a disposizione del bene principale, talché si prospetta la ordinaria estensione degli effetti dell’usucapione del bene principale anche al bene accessorio le cui vicende non abbiano conosciuto evoluzioni significative.

Si osserva da ultimo che l’onere probatorio si ripartisce nel senso che l’attore è tenuto a provare la nascita del rapporto pertinenziale, e non anche la sua protrazione fino al momento della conclusione della vendita, mentre al convenuto spetta provare la cessazione, avvenuta medio tempore di tale rapporto (Cassazione 5790/1983).

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