Come interpretare le delibere che violano i criteri di riparto delle spese

Il 2021 ha donato al diritto condominiale un altro spartiacque su uno dei temi in esso dibattuto, quale quello della non sempre approssimabile differenza tra i vizi che possono affliggere un deliberato assembleare, a seconda se essi siano sussumibili nell’ambito della nullità o dell’annullamento.

L’interprete di una delibera avente ad oggetto un errore nei criteri di riparto della spesa, astraendosi da essa, deve obiettivamente essere in grado di comprendere i limiti entro cui si può spingere il concetto delineato dall’articolo 1137 Codice civile, laddove discorre di deliberazione contraria alla legge o al regolamento, fino a richiamare, eventualmente, la disciplina contrattualistica afferente la nullità.

Nullità e annullabilità
Gli effetti tra le due fattispecie sono diversi, per quanto peculiari e dirompenti sul piano processuale, a seconda delle casistiche affrontate. Così, ad esempio, in un giudizio di opposizione ad un decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto sulla scorta di un piano di riparto approvato assemblearmente non risulterebbe possibile muovere avverso la pretesa monitoria una domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’impugnazione del deliberato ad essa presupposto, ove il vizio che inficerebbe la deliberazione non fosse ascrivibile a quello della sanzione massima della invalidità di cui agli articoli 1418 e
seguenti Codice civile.

E, sotto questo aspetto, le Sezioni unite hanno assestato un colpo ben definito a questa ulteriore casistica, affermando che il vizio in disamina è solo di natura residuale rispetto quello generale di cui all’articolo 1137 Codice civile. La disciplina condominiale sarebbe stata così definitivamente caratterizzata da un chiaro favor legislativo per la stabilità delle decisioni assembleari, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal giudice.

Come deve porsi l’interprete del dettato assembleare
Precisamente, i giudici di legittimità sembrano indicare una via maestra per l’interprete: per cui nel caso di violazione dei criteri di riparto della spesa in seno ad un deliberato la corretta meditazione ( di valore ermeneutico) propedeutica alla selezione del vizio si baserebbe sulla disamina, più che del vizio “oggettivo” in sé, del trasporto soggettivo che animerebbe la decisione collegiale. Si passerebbe così da una interpretazione letterale ad una teleologica del contenuto del verbale. Da ciò discende che una delibera “malaccorta” che dispone l’alterazione della proporzionalità tra le unità immobiliari per la contribuzione alle spese condominiali una tantum, e, quindi, preveda un errore nel criterio di riparto degli oneri condominiali a cui fa capo per un dato caso specifico, sarebbe suscettibile di essere invalidata (solo) nei termini di cui all’articolo 1137 Codice civile.

Ora, con l’ordinanza numero 8185 del 14 marzo 2022 si confermano gli assunti appena resi, ivi precisandosi che la nullità si configura (solo) in caso di mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali (volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma), o di impossibilità materiale o giuridica dell’oggetto. All’impossibilità giuridica dell’oggetto va ricondotta l’ipotesi che la decisione collegiale investa materie sottratte alle attribuzioni dell’assemblea. Se invece la delibera sia adottata nell’ambito
delle competenze assembleari, ma mediante un non corretto utilizzo del potere deliberativo, la deliberazione “contraria alla legge” è semplicemente annullabile.

Conclusioni
Ergo, le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell’oggetto ove – invece – l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condòmini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato e devono essere necessariamente impugnate nel termine di trenta giorni dalla comunicazione.

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