Condizionatori d’aria e aspetto architettonico: il regolamento può imporre limiti all’installazione

Sui limiti previsti dalla legge nell’uso dei beni comuni (1102 Codice civile e articolo 1117 Codice civile) e sugli obblighi di comunicazione all’amministratore delle opere che si intendono eseguire sulle parti private in immobili condominiali (articolo 1122 Codice civile), una recente sentenza del Tribunale di Udine (sentenza 107 del 31 gennaio 2022) ne ha valutato i vari aspetti.

Il giudice di merito affronta nell’ordine i seguenti problemi:

1. individuazione della prevalenza, in caso di conflitto, tra il diritto al rispetto del decoro architettonico e delle linee armoniche dell’edificio e il contrapposto diritto del singolo condomino ad utilizzare ed installare apparecchiature tecnologicamente avanzate per migliorare la qualità della vita all’interno della sua abitazione;

2. la opponibilità a tutti i condòmini dei limiti nella definizione di decoro architettonico previsti nel regolamento contrattuale;

3. l’obbligo della preventiva comunicazione all’amministratore di condominio qualora si intendano eseguire opere su parti private anche se non visibili dall’esterno della unità immobiliare;

4. la salvaguardia del decoro anche là dove precedenti interventi abbiano deturpato le linee architettoniche dell’edificio. Il problema della installazione delle apparecchiature esterne dei condizionatori d’aria è uno dei problemi che più frequentemente fanno sorgere conflitti tra i condòmini coinvolgendo necessariamente l’amministratore. È un problema che con il super ecobonus diventerà oggetto di vertenze potenziali con riferimento alla installazione eventuale di pompe di calore elettriche che prevedono la collocazione all’esterno di unità di scambio termico di notevoli dimensioni. Il Tribunale di Udine nella richiamata sentenza affronta il problema esaminando i vari aspetti della problematica.

La vertenza nasce dalla avvenuta installazione di una unità esterna di condizionamento su un terrazzo condominiale da parte di un condomino. La parte attrice è il condominio che contesta alla convenuta l’avere installato l’apparecchiatura violando sia il decoro architettonico che il regolamento contrattuale che disciplinava le modalità di collocazione di tali apparecchiature e ne chiede la rimozione immediata. La parte convenuta riteneva non aver violato il regolamento e in particolare l’articolo 5 dello stesso e in ogni caso riteneva che l’apparecchiatura installata non creasse danni al decoro architettonico.

Quello che è in discussione nella vertenza non è la facoltà concessa ai singoli condòmini di utilizzare i beni comuni per installare apparecchiature ad uso della propria unità immobiliare, ma se tale uso possa comprometterne il decoro architettonico. La normativa civilistica che individua i beni comuni (articolo 1117 Codice civile) e di conseguenza il loro uso va combinata e armonizzata con l’articolo 1102 Codice civile norma questa sulla comunione applicabile, per l’espresso rinvio, dall’articolo 1139 Codice civile anche al condominio. In via preliminare il giudice fa un esame delle norme che disciplinano le modifiche dei beni comuni e le opere su parti private su cui una norma, per la verità non molto chiara e controversa, detta delle prescrizioni obbligatorie, si tratta dell’articolo 1122 Codice civile (Opere su parti di proprietà o uso individuale). L’articolo prevede l’obbligo del condòmino che voglia effettuare opere, anche se interne, di darne preventiva informazione all’amministratore che ne riferisce all’assemblea condominiale. Proprio questa circostanza non è stata rispettata dalla convenuta violandone la disposizione. Dall’esame degli atti processuali compresi i rilievi fotografici il giudice evidenziava che effettivamente l’articolo 5 del regolamento prevede la possibilità di installare apparecchiature di condizionamento, ma esclusivamente
in postazioni già predisposte dal costruttore e «comunque non visibile dall’esterno e collocati al livello del piano di calpestio del proprio balcone, terrazza o loggia». Quindi, a prescindere dalla questione estetica del decoro, esiste una precisa convenzione regolamentare, di cui la convenuta si dichiara a conoscenza, che esclude ulteriori analisi sulla questione estetica. Infatti per giurisprudenza consolidata il decoro
architettonico può essere definito in termini specifici più stringenti da un regolamento condominiale contrattuale (Cassazione 8174 del 2012) . Proprio su questo punto il giudice ritiene fondata la domanda del condominio nel ritenere violato il regolamento. Precisa inoltre il giudice che, pur tenendo conto della evoluzione tecnologica nella diffusione generalizzata dei sistemi di areazione e refrigerazione forzata, la installazione delle apparecchiature deve essere compatibile con l’analogo principio del diritto dei condòmini a non vedere danneggiato il decoro architettonico e l’estetica dell’immobile.

A nulla rileva, come osservato dalla convenuta a sostegno del suo diritto, che esistano già altre apparecchiature collocate in modo da compromettere il decoro del fabbricato. Proprio con riferimento a ciò il giudice osserva che non rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (Cassazione civile 14455 del 2019).

A tale proposito è opinione consolidata che, legittimamente le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale, come nel nostro caso, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa (Cassazione 81748 del 2012). Meno convincente nelle motivazioni della sentenza, anzi del tutto errata, è la considerazione che possa essere l’assemblea (quindi a maggioranza) a dare una
definizione di decoro architettonico. Il rispetto del decoro è un diritto soggettivo e nessuna assemblea condominiale può limitarlo: solo un regolamento condominiale contrattuale può farlo, diversamente è rimesso alla libera e insindacabile valutazione del giudice.

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